domenica 31 luglio 2011

Irrorazione chimica del "Cielo Urbico"

Stamattina ore 7:30 in zona S. Pietro e Gianicolo ennesima operazione d'aereosol clandestina questa era la situazione: cielo lattescente striato da più rilasci di particolato d'ignota composizione.
Come cittadini avremmo il diritto di sapere cosa spruzzano sulle nostre teste, cosa inaliamo respirando e cosa ricade sui campi coltivati, cosa penetra fin nelle falde acquifere.
Le istituzioni negano l'esistenza del fenomeno, ma la loro negazione di per sé è ormai prova evidente di una oscura malafede.



















Dalla sommità del Gianicolo si vede come tutta l'area dei castelli romani sia stata ricoperta da questi voli foschi








Qui un'analisi dettagliata delle nubi sintetiche http://www.tankerenemy.com/2011/07/nubi-di-metallo.html

venerdì 8 luglio 2011

UNA BREVE RIFLESSIONE SUL MITO E NOSTRO FUOCO SEGRETO























Annoto questi appunti attingendo alla bisogna, nel fondo pozzo delle consolazioni di un avvenire ulteriore, che le storie e favole della nostra Tradizione nell’allegoria nascondono.
Indizio inequivocabile della consumazione dei tempi, è anche il solo fatto di annotare pensieri altrui misti a personali riflessioni destinate in massima parte a non essere nemmeno lette per la scomodità e disumanità intrinseca del supporto di cui ci avvaliamo, che pure, in definitiva, omologa e livella ogni riflessione a pura aneddotica.

Il potere sminuente della macchina o della sua incapacità consolatoria delle interiori afflizioni umane.

Ma davvero trovo anche utile trascrivere quanto segue: Boccaccio nel suo Genealogie Deorum, rammenta che allegoria deriva da "allon" = alieno, estraneo, dove il significato letterale è solo la scorza che riveste più profondi contenuti.
Del pari nell’albero la corteccia…la corteccia, preserva l’interno della pianta, dove nel suo centro scorre la linfa, il nutrimento utile ad ogni sua parte.

Per esempio, determinate considerazioni che si ricavano da letture o esperienze sperimentate in prima persona, ma d'altronde la stessa lettura se intimamente vissuta non è forse essa stessa un esperienza dell’anima? Insomma, ciò che intendo dire è che la mia ossessione preminente, riguarda la sostanza di un canto inudibile, epperciò astratto, ma che pure per propagarsi e trovare verità, necessariamente deve rimbalzare sui volumi delle cose: ecco dunque la sostanza, il valore indicibile dell’ispirazione poetica.

Se diamo ascolto e veridicità alle parole d’Omero, Virgilio, Apollonio Rodio e ai maggiori poeti dell’antichità il cui messaggio s’è propagato fino ai margini estremi del Rinascimento italiano, (ma si dovrebbe dire Italico) se diamo loro ascolto si comprende che solo profondamente ispirati noi comunichiamo con gli Dèi.

Gli Dèi accolgono grati i nostri slanci lirici e solo per questi l’Universo realizza la sua più intima essenza, la misteriosa forza cantata nelle Metamorfosi da Ovidio.

L’ispirazione è proprio quel fuoco segreto che da senso più vero al nostro Atanòr, perché l’Alchimia e dunque l’Arte e dunque la Poesia, non derivarono dallo strumento solo materiale dell’intelligenza.
Leggevo uno studio del prof. Catinella, dov’è scritto che Clemente Alessandrino fa derivare la parola Mito dalla greca Metos che è seme, granello, sicché ogni mito o favola antica reca in sé il seme occulto, che una volta deposto nelle profondità dell’animo, assieme a questo genera il Nume che diverremo…sempre ammesso, che saremo capaci di prenderci cura del virgulto segreto che nel fondo della coscienza lentamente matura.

Il primo divieto, che i Misteri antichi indicavano all’iniziato, era quello di non porre fine alla propria esistenza prima che questa, da sola, fosse naturalmente giunta al termine dei suoi giorni, poiché ogni momento che ci rimane da vivere, è utile a sviluppare tale segreta essenza che in noi dimora.

Mistero: senso di una cosa superiore all’intelligenza – verità celata sotto finzione – Mysterium è spiegato dal glossario latino come secretum sacrum. Cristo disse: molti i chiamati e pochi gli eletti…lo stesso, a Eleusi, assai prima, vigeva il detto che molti erano i portatori di tirso, ma pochi sarebbero divenuti Baccòi…a significare dell’estrema difficoltà che intercorre dal momento in cui il seme è deposto, alla formazione della coscienza numinosa.
Sostanzialmente, i Miti originari della creazione, credo originano dalla necessità di rivelare l’eminente verità universale attraverso una modalità che lungo il corso dei millenni non avrebbe alterato il proprio valore e che al contempo, potesse offrire più chiavi interpretative a secondo della capacità d’intendimento di quanti vi si accostassero.

Se accettiamo l’idea che prima dell’ultimo diluvio, vi fosse l’esistenza di una Civiltà evoluta, (ormai le prove vi sono e numerose) questa necessariamente doveva riferirsi ai medesimi valori d’amore e d’ingegno e, per quanto lo stravolgimento epocale in quei tempi remoti possa aver sommerso l'ispirazione originaria…penso agli immensi stravolgimenti cosmici narrati nelle favole di Fetonte o alla stessa guerra combattuta da Giove contro i Titani…comunque, i semi immortali, una volta trascorso il periodo indefinito d'oscuramento, poterono nuovamente assorbire quel tepore riposto nell’apparente vuoto cosmico, che ravvivò - ravvivò in sé - come recondita necessità, un ulteriore significato della vita, un ulteriore avanzamento della vita stessa al di la di sé, attraverso l’imperscrutabile necessità dell’ispirazione (avrei dovuto scrivere ISPIRAZIONE) appunto, i Miti.

La loro abissale commozione riecheggia nella vastità universale, il loro senso è appena soffiato o trasportato da inquieti venti siderali, che in tempi di cui non si può avere nozione, ravvivarono il seme invisibile che relega l’essere al nulla e che, in un certo senso, è come deposto nel grembo della Conoscenza.
Questo, "il seme dei metalli" degli alchimisti medievali, il lievito primordiale.

L’estrema complessità di calcoli calendariali cosmici, la profonda struttura della materia, è adombrata nell’allegoria mitologica, dove nelle alterne vicissitudini dei suoi protagonisti divini, nella loro inconoscibile sostanza, la struttura del messaggio, riguarda essenzialmente la verità di un campo energetico che connette tutta la realtà universale…non a caso a Dodona, nel tempio arcaico della Dea, anteriore a quello di Delfi, pendevano dal soffitto un gran numero di campane bronzee, che significavano proprio il valore di tale realtà diffusiva e intimo legame del tutto con il tutto, in ogni sua parte…dove una campana il vento muoveva e cento risuonavano.

Dione-Dodo = Colei che dona, che dona per amore…il più elevato prestigio del senso mitologico...intimamente congiunta alla figura di Giove (androginia arcaica) che a Dodona era chiamato Naios – dio delle sorgenti.

Quest’immensità energetica, è contenitore e ponte delle più elevate percezioni metafisiche. I primi rivelatori della divinità, furono i poeti, che erano sciamani estatici…i Miti, c’informano della possibilità di interagire con la vastità universale esclusivamente mediante il linguaggio delle emozioni, per quanto esse siano temperate sul maglio della ragione. Non per semplice sentimento di vaghezza, il lirismo è presente nel carattere degli dèi, e che essi nell’uomo lo ricercano e l’ammirano: poiché attraverso l’ispirazione noi presagiamo l’immortalità.

mercoledì 6 luglio 2011











In linea con lo sviluppo sociale e urbano Roma ha mutato la sua essenza, stravolto i suoi connotati di città “cara agli Dèi”…uso quest’espressione cosciente che potrebbe palesarsi come retorica ma intimamente per me non lo è affatto.
Illusione? Magari l’illusione aurea mi pervadesse interamente l’essere!
Beati gli antichi che si credevano degni dei baci degli immortali e che sacrificavano alla Bellezza e alle Grazie, che attiravano lo splendore della divinità sulle imperfezioni umane e nelle misure dei loro templi perfetti.
Coltivo come un giardiniere devoto ai suoi fiori le mie illusioni, me ne prendo cura su un terreno impoverito e malato ma cerco comunque di ravvivarle, perché le illusioni sono per l’animo quello che le corde fanno per lo strumento, convengono l’esistenza ad amabili melodie; le sole che possono davvero nobilitarci e redimerci da indistinte quanto monotone operosità o indolenze.

E’ il luogo stesso prescelto per la fondazione della città arcaica, la sua tessitura sovrapposta e stratificata in millenni di storia ad aver reso molteplice il disteso corso delle ispirazioni che qui testimoniarono l’importanza di convertire nella materia l’ideale umano teso al recupero della perduta armonia.
Non solo Roma, ma ogni antica città antica offre dimostrazioni di questi sicuri slanci lirici oltraggiati dalla disumanizzazione imperante; il degrado architettonico precede solo di pochi anni la “sovversione sintetica” dell’esistenza, perseguita per fini che rimangono occulti ma i cui effetti si palesano con sempre maggior evidenza.
La nostra qualità di vita è immiserita da ingannevoli comodità o depressa nella contraffazione mediatica dei reali scopi cui dovrebbe mirare l'esistenza per assolvere pienamente al suo significato.

Stiamo smarrendo il senso profondo delle cose, è assolutamente triste questo decadimento dei luoghi aviti ridotti a spartitraffico, perimetrati da fredde cancellate e diminuiti nel loro significato a scialbi aneddoti turistici piantonati da volgari punti di ristoro.
E' nella pigrizia dei sentimenti che l’attuale Età nera diffonde nei nostri cuori il suo senso mortifero più subdolo.

A Roma sono nato e di Roma amo rinnovare le benevole suggestioni e prestigi che sono sempre più rari a intuire e presentire.
In questi ultimi dieci anni la distonia di fondo prodotta dalla degenerazione tecnologica s’è fortemente intensificata, agiscono scansioni di frequenze assolutamente incoerenti e amplificate dalle antenne della telefonia mobile e reti wirless, che formano una sorta di copertura diafana, un coperchio elettromagnetico amplificato dai pressoché continui rilasci aerei di persistenti filamenti chimici che rendono opalino il cielo quasi ad estinguerne la sua prerogativa immateriale, la particolare curvatura prospettica conferitagli dal luogo.
Non è mai stata considerata la particolare convessità celeste della zona cinta dai Colli, questo perché la scienza profana considera la curvatura celeste, gli elementi che in essa stanno sospesi, incapaci di interazioni sensibili con ciò che sta loro sottostante, ma è una cecità assolutamente moderna; Vati e Poeti interagirono sensibilmente e sapientemente con gli elementi.

Non a caso in origine, molto prima della fondazione dell’Urbe, i suoi Colli furono prescelti per interpretare i segni degli Dèi, questo perché sono come “scrigni”, “custodi” di una memoria atavica del pianeta, puri catalizzatori di eventi prodigiosi, altari accordati al battito ancestrale del Cosmo, che solo la nostra anima immiserita non è più capace di ascoltare.

Ogni centro Sacro è preposto ad accordarsi ad una risonanza inudibile ma ugualmente comprensibile, qui il Gianicolo, il Palatino, il Campidoglio, il Quirinale, il Vaticano sono “are cosmiche” allineate su determinate frequenze che entrano in profonda dissonanza con l’invasiva copertura elettromagnetica artificialmente indotta.
La variazione di frequenza implica una nostra intima mutazione.
Per questo stesso motivo, ad esempio, il buco che vorranno fare nel Monte di San Michele in Val di Susa è doppiamente pericoloso e a tal proposito rimando all’articolo di Fausto Carotenuto http://www.disinformazione.it/valdisusa.htm.


Roma è Amor, ispirazione sublime e compresa da quel magnifico legislatore che fu Numa: allegorico uomo metadimensionale pervaso di puro Erotismo, di Casto Erotismo, l’ultimo Re che lambisce e sconfina il terreno del suo giardino nei territori dell’Età mitica per conferire in lieta intimità coi Numi divini ed in particolare con la Ninfa Egeria.
Mi sembra di scrivere pervaso di Furor Gentile, presumo di elevarmi internamente in me stesso, un po’ come chi nell’esercizio fisico esegue un sollevamento alla sbarra dopo un lungo periodo d’inattività, e sostenendo a stento la tensione mi protendo appena su un piano qualitativamente superiore che intuisco essere la mia dimensione originaria; questa presa cosciente anche se lievemente intuita e ancor più flebilmente comunicata tuttavia rappresenta un momento solenne dell’esistenza.
Solo il disincanto può estirpare dalla nostra natura profonda l’unica possibilità che abbiamo per essere migliori a noi stessi.

Scrisse in età già avanzata Goethe: “La parabola della mia vita terrestre culmina in Roma, come compimento di un appassionato desiderio nutrito per lunghi anni.
Io sono qui, e di più non posso dire!”