martedì 6 settembre 2011

Saturno nella tradizione italico-romana






















• 6. – LA LEGGENDA DI SATURNO.

Tutti conoscono la tradizione greco-latina delle quattro età; in ordine cronologico l’età dell’oro, dell’argento, del bronzo e del ferro. La più antica, l’età aurea, era stata la più bella, l’età beata, rimpianta e cantata dai poeti, ed il mondo era andato dopo d’allora peggiorando continuamente.

La tradizione latina identificava quel tempo felice con i «Saturnia regna» (Virgilio, Aen., IV, 6; VI, 41; I XI, 252) perché la tradizione raccontava che Saturno, spodestato da Giove ed espulso dal cielo (Ovidio, Fast., I, 292), era approdato in Italia rifugiandosi e nascondendosi nel Lazio, dove Giano, re d’Italia, lo ricevette e regnò con lui durante l’età dell’oro. Egli dette il nome all’Italia, detta appunto Saturnia Tellus (Virgilio, Aen., VIII, 329; I, 569; Geo., II, 173; Ovidio, Fast., I, 232; Macrobio, I, 7; Festo, ed. Teubner, p. 430); e Dionigi di Alicarnasso (Antiq. Rom., I, 34) dice che «tutta l’Italia era sacra a questo nume e dagli abitanti (incolis) veniva chiamata Saturnia come si trova dichiarato nei carmi sibillini ed anche in altri oracoli resi dagli dèi».

Gli Antichi dicevano che anche il Lazio era così chiamato perché Saturno vi si era nascosto (latere, Virgilio, Aen., VII, 322; Ovidio, Fast., I, 232).
L’etimologia corretta è probabilmente da latum, ampio, lato; ma le etimologie errate degli Antichi hanno pur sempre grande importanza, perché non sono arbitrarie ma son volte a confermare eventi e fatti connessi alla cosa. Su di essa ritorneremo. Tornando a Saturno, egli si stabili ai piedi del Campidoglio, detto per questo motivo (Festo, p. 430) Saturnius mons; ivi sorgeva difatti il suo tempio, uno dei più antichi di Roma.

Il primo modesto santuario gli era stato ivi dedicato da Tullo Ostilio, nell’occasione dell’istituzione dei «Saturnalia»; Tarquinio concepì il progetto di sostituirlo con un tempio, e la repubblica due o quattro anni dopo la caduta del tiranno lo costruì in effetti nel posto prescelto dedicandolo a Saturno. Fu restaurato ai tempi di Augusto e ne rimangono tuttora otto imponenti colonne ioniche. La leggenda diceva che tale ara sul colle capitolino gli era stata dedicata prima della guerra troiana (Festo, p. 430); e che sulla collina sabina del Campidoglio si elevava una città di Saturno (Dionigi di Alic., I, 34; VI, I, 4).

Agli abitanti del Lazio, Saturno insegnò l’agricoltura e l’arte della navigazione; la leggenda raccontava che alla fine egli era subitamente svanito dalla terra (Macrobio, Sat., I, 7). Si parlava anche, in Roma, di un’antica popolazione saturnia che avrebbe abitato la campagna e la città; e di coloro i quali, rimasti fedeli agli antichi costumi, vivevano della coltura dei campi, si diceva che erano rimasti i soli della razza del re Saturno (Varrone, R. R. 3, 5). Questi, in breve, i caratteri salienti della leggenda, dell’arrivo, del rifugio, del regno, dell’apoteosi e dell’insegnamento di Saturno in Italia.

Questa leggenda latina di Saturno si connette alla dottrina tradizionale dei «cicli» e soltanto con l’esistenza di una dottrina tradizionale originaria si può plausibilmente spiegare la concordanza evidente tra le quattro età della tradizione classica ed i quattro Yuga della tradizione indù.
La leggenda, collegando l’aureo (Virgilio, Eg., II, 538) Saturno all’età aurea, fa risalire allo stesso tempo arcaico il suo insegnamento, e ci dice che Saturno col suo insegnamento si nascose nel Lazio. L’insegnamento di Saturno si collega dunque alla «tradizione primordiale»; trovato un rifugio nel Lazio, viene quivi occultamente trasmesso.
La morale della favola dal nostro punto di vista è questa: la tradizione della Sapienza romana deriva da quella primordiale dell’età aurea, ed esiste occultamente nel Lazio.

La leggenda acquista un significato preciso per coloro i quali hanno ragioni per riconoscere l’esistenza sopra o sotto la terra di un centro iniziatico supremo, in passato ed oggi. Questo collegamento e derivazione dal centro iniziatico supremo è nettamente affermato e confermato da Virgilio (Aen., VIII, 319): primus ab aetherio venit Saturnus Olympo, e da Ovidio: caelitibus regnis a Iove pulsus erat (Ovidio, Fast., I, 292). Saturno dà agli uomini le ricchezze, la prosperità e la libertà; le sue feste, i Saturnalia, si celebravano in dicembre (sacro a Saturno, come il mese seguente era sacro al suo ospite Giano); erano le feste dell’abbondanza, della licenza e della gioia sfrenate, che davano la libertà (la «libertà di dicembre») anche agli schiavi.

Questo carattere orgiastico, popolare, dei Saturnali, è a tutti noto; e, ordinariamente, non si pensa che i Saturnali possano avere avuto anche un altro carattere. L’analogia con l’orfismo e coi baccanali dovrebbe già, per altro, ingenerarne il sospetto. Quanto abbiamo rilevato circa il carattere iniziatico di Saturno ed il suo collegamento alla «tradizione primordiale» ed all’Olimpo rende logicamente verosimile e probabile che debba esservi stato tale carattere dei Saturnali. Ed infatti così risulta. Ce lo fa sapere uno scrittore latino, Macrobio, il quale (Sat., I, 7) dice che gli «è permesso svelare non quell’origine dei Saturnali che si riferisce all’arcana natura della divinità, ma quella che è mescolata a tratti favolosi, o quella che i fisici insegnano al volgo.

Poiché neppure nelle stesse cerimonie iniziatiche (in ipsis quidem sacris) non è permesso narrare le ragioni occulte ed emananti dalla fonte della pura verità (ex meri veri fonte); e se alcuno le consegue gli è ordinato di contenerle protette entro la coscienza».
Per mezzo di Saturno «hoc principe e con la scienza « delle buone arti – dice Macrobio (l. c.) – da una vita incolta e tenebrosa siamo fatti uscire quasi alla luce». Per questo suo merito «Giano ordinò che Saturno fosse onorato majestate religionis, quasi vitae melioris auctorem».
Notisi inoltre che l’italico Saturno è un dio delle profondità, un dio sotterraneo, particolarità intieramente concordante con la tradizione del mondo sotterraneo dove si nasconde e permane la gerarchia iniziatica secondo quanto, da fonti diverse, han riportato il Saint-Yves d’Alveydre ed Ossendowski.

La tradizione dunque sin dai primissimi tempi, dall’approdo di Saturno in Italia, dà un carattere occulto alla sua permanenza nel Lazio ed insieme a quanto dice Macrobio mostra che questo centro iniziatico ed il suo insegnamento hanno avuto sin da allora carattere occulto. E poiché la tradizione afferma che Saturno insegnò agli abitanti del Lazio l’agricoltura, la peritiam ruris (Macrobio, I, 7) e l’arte della navigazione in cui eccelleva (Virgilio, Aen., V, 799), si presenta spontanea l’indicazione che tale dottrina od insegnamento la si debba cercare sotto il simbolo agricolo e marinaro.

7. – ETIMOLOGIA DI SATURNO.

Il carattere precipuamente agricolo di Saturno era confermato, secondo gli Antichi, dalla stessa etimologia del nome. Saturno è un nome assai antico e figura già nel carme dei Salii: qui deus in saliaribus Sateurnus nominati (Festo, ed. Teubner, p. 432). Il suffisso urnus che si ritrova in di-urnus, noct-urnus, Volt-urnus, fa senz’altro pensare ad una consimile formazione e derivazione di Saturno da un radicale sat o sate; si tratterebbe, come per diurno e notturno, di una specie di aggettivo od attributo caratteristico del dio o del re Saturno, atto a costituirne la caratteristica designazione, divenutane il nome.
Per Varrone (De l. l., V, 64) Saturno è così detto ab satu. Satus è l’azione del seminare o del piantare; ed è voce, notiamolo, adoperata anche nel senso figurato (cfr. Cicerone, Tusc., 2, 13). Saturno sarebbe così il sator, il coltivatore per eccellenza.

Questa etimologia fu ammessa sino a pochi decenni or sono. Oggi non piu. Lo Schwegler (Röm. Gesch., p. 223) fa derivare Saturno da satur = πληρωτής πάσης ευδαιµονίας, la sorgente di ogni felicità.

II «Dictionnaire étymologique du Latin» del Regnaud (1908) fa derivare invece Saturnus da una voce arcaica ipotetica: svaurn-us, da cui l’altra voce sempre ipotetica (s)veter-nus collegata a vetus. Saturno sarebbe il veterano degli Dei, e quindi il padre, il creatore dell’universo; il Regnaud convalida questa etimologia con l’analogia col greco κρο-όνος, il creatore, l’antecedente di tutte le cose. Crono fu infatti confuso con Chrono (κρ-όνος); e questa fu una delle cause per cui Crono, eppoi il corrispondente latino Saturno, da divinità agricola divenne il dio del tempo; e conseguentemente la falce, attributo agricolo di Saturno, divenne la falce del tempo.

La Pauly Real Encyclopedia (ed. 1923, p. 188) dice d’altra parte che il nome del dio sotterraneo Saturno, di cui esiste anche l’antica forma Sateurnus, è senza dubbio identico al nome Satre della corrispondente divinità etrusca, e riporta l’opinione dell’Herbig, che dalla vicinanza delle due forme latina ed etrusca è indotto a rintracciare una comune radice Sav (dal nome Σάβας) in un linguaggio dell’Asia minore.
Queste etimologie moderne non sono molto soddisfacenti, e ci permettiamo di proporne un’altra. La simiglianza con l’etrusco Satre rende già plausibile il cercare l’etimologia di Saturno fuori dal latino; tanto più che conviene tenere anche conto della simiglianza con l’anglo-sassone Saeter. Ora, come è noto, porta il nome di Saturno anche il pianeta per gli Antichi più lontano dalla terra. Per la sua lontananza spaziale Saturno è il primo pianeta, seguito da Giove, come il regno di Saturno era il più antico nel tempo e precedeva il dominio di Giove.

L’antico tedesco chiamava Satjâr il pianeta Saturno; e quando sul finire della repubblica si introdusse l’uso della settimana, i giorni della settimana furono denominati in corrispondenza ai pianeti ed alle loro divinità. Consimili denominazioni ricevettero i nomi della settimana anglo-sassone, e dal confronto risulta come l’anglo-sassone Saeter venne considerato come una divinità equivalente a Saturno, cui era dedicato il pianeta Saturno (Saturni stella; Virgilio, Georg. I, 336 e II, 406) ed il Sabato, il Saturni dies di Tibullo (I, 3, 18).

Se contiamo i giorni della settimana di due in due, procedendo coi numeri dispari, essi si presentano nel medesimo ordine del sistema planetario degli antichi: Lunedì, Mercoledì, Venerdì, Domenica, Martedì, Giovedì, Sabato. Al Lunae-dies corrisponde il Moon-day inglese, al Mercuri-dies il Wednes-day, il giorno di Woden (Wotan) Odino; al Veneris-dies il Friday a. s. Frigedaege dalla divinità Freya; al Domini-dies il Sun-day, il giorno del Sole; al Martis-dies il Tues-day, giorno di Tyr (gen. Tys), etimologicamente affine al div di diovis; al Jovis-dies il Thursday o thorsday, ted. Donners-tag, giorno del Dio Thor, giorno di (Giove) tonante (ingl. thunder = ted. Donner = tuono); ed al Sabato (voce ebraica), il Saturni-dies, corrisponde il Satur-day, antico a. s. saeter-tag. La corrispondenza, se non perfetta, è sempre tale da identificare il latino Sate urnus ed il tedesco saeter e da indicare una comune derivazione.

Ora noi abbiamo veduto che le quattro età dell’antichità greco-latina corrispondono ai quattro yuga degli Indù. È dunque possibile una corrispondenza analoga anche nel nome Saturno. La corrispondenza non vi è per il nome del pianeta che in sanscrito è shani che significa basso ed indica il pianeta più basso, più lontano; ma esiste una corrispondenza, per noi molto più importante, con la denominazione sanscrita dell’età dell’oro.

Il primo dei quattro yuga ha infatti due denominazioni, entrambe interessanti per la nostra questione. Sono krta-yuga e satya-yuga. Krta-yuga è l’età perfetta (per-fectum), dalla radice kra = fare, compiere, da cui secondo il Curtius deriva anche il nome greco Cronos di Saturno; satya-yuga è l’età buona, la vera età. L’aggettivo satya, vero, è connesso a sat, l’essere, e quindi il reale, il vero. Satya-yuga è l’età di Sat, l’età dell’«Essere».
L’affinità tra satya ed il tedesco Satyar è evidente; saeter-tag è il giorno del dio vero, come Donnerstag è il giorno del dio tonante. Il latino sate-urnus, il tedesco saeter, l’etrusco satre indicherebbero tutti il dio vero, reale per eccellenza. Le derivazioni di questi tre nomi dal sat di satya-yuga, e quelle del greco Cronos dal kr del Krta-yuga, si corrispondono e si comprovano reciprocamente. E come il suffisso sanscrito ya unito a Sat dà il nome dell’età aurea, cosi il suffisso latino urnus unito a Sat dà il nome dell’aureo Saturno, il re dell’età aurea.

Con questa etimologia la dottrina di Saturno viene ad essere la vera dottrina, la dottrina di sat, la dottrina dell’«essere». Troviamo così un’altra conferma della connessione tra questa arcaica tradizione latina e la tradizione primordiale; ossia sin dall’inizio di questa nostra difficile indagine troviamo i titoli della «ortodossia spirituale» della tradizione romana.

La presenza nel latino e nelle antiche lingue italiche di questa voce arcaica indo-europea sat potrà forse sembrare a taluno un fatto strano ed isolato. Ma non è cosi. Un altro esempio è dato dalla voce Acca, il nome di Acca Larentia, la nutrice di Romolo e Remo, e la madre dei primi dodici fratelli Arvali, la quale in sanscrito (okkâ), come nota il Preller (Les Dieux de l’ancienne Rome, Paris, 1865, p. 291), significa madre. Un altro esempio, questo non ancora riconosciuto, è dato dalla voce anna (radice ad, latino edo), in sanscrito nutrimento, che ricompare tale e quale in anna perenna, il mitico romano cibo d’immortalità, equivalente all’ambrosia dei Greci.

8. – ADDENDA.

Molte altre cose vi sarebbe da riferire e da osservare a proposito di Saturno e di Crono. Tra il greco Crono ed il latino Saturno occorre certo far distinzione, ma, secondo quanto abbiamo veduto, Saturno e Crono, entrambi regnanti nell’età aurea, si riallacciano etimologicamente alle due denominazioni sanscrite dell’età dell’oro, e questo fa vedere che la identificazione del latino Saturno col greco Crono, operata in seguito dai Romani, aveva la sua profonda ragione di essere nella comune connessione con l’arcaico sat e con il Satya-yuga. Comunque, per il loro significato e la loro importanza esoterica, osserviamo che:

1°)
Crono è figlio di Urano e di Gea (il cielo e la terra); è la caratteristica dei dodici titani (Esiodo, Teog., 133), dei ciclopi (gli esseri dotati della terza vista, la vista ciclica), nonché degli iniziati orfici, i quali si fanno forti di questa loro genealogia per invocare il diritto di bere alla fonte di Mnemosine, superare quella del Lete, e da mortali divenire per tal mezzo immortali. E nella tradizione romana Saturno, figlio del cielo e della terra, non muore; svanisce subitamente, come Enoch ed Elia nella tradizione ebraica.

2°) Plutarco menziona una leggenda secondo la quale Crono detronizzato dorme in un’isola dei mari del Nord (De delf. orac., 18); per questo il mare a settentrione dell’Asia, secondo quanto riferisce il geografo Dionigi, era chiamato mare glaciale o saturnio. Questa leggenda collega Saturno con la tradizione del centro iniziatico iperboreo, equivalente alla stessa tradizione primordiale.

3°) La leggenda del «betilo» fatto inghiottire a Crono con tutti i suoi sviluppi.
Ma poiché ci interessa soprattutto il carattere arcaico italico di Saturno, preferiamo non ricorrere alla Grecia per provare la sua esotericità; così pure, non ci occuperemo della consacrazione a Saturno del pianeta Saturno in astrologia, del giorno della settimana nel calendario e del piombo nella tradizione ermetica.
Riteniamo invece non privo di interesse l’osservare come anche altre tradizioni attribuiscano a Saturno l’insegnamento dell’agricoltura inteso allegoricamente. Così avviene in un’antica tradizione contenuta nella «Agricoltura Nabatea», poema arcaico tradotto in tedesco da Daniele Chwolsohn da una antica versione araba del testo caldaico.
L’autore od amanuense Qu-tâmi alla prima pagina della sua rivelazione dice che le dottrine contenute nel testo furono originariamente insegnate da Saturno… alla Luna, che le comunicò al suo idolo, e l’idolo al suo devoto, lo scrittore, l’adepto-scriba del lavoro Qu-tâmi (cfr. H. P. Blavatsky, Sec. Doct., II, 474).
Chwolsohn pone la prima traduzione araba al 1300 a. C. Non sapremmo dire quale fosse la parola caldaica tradotta con Saturno, ma parrebbe si trattasse del pianeta. È ad ogni modo curiosa la presenza di questo carattere agricolo in Saturno anche presso questa antica tribù semitica.
Quanto al carattere eminentemente agricolo dell’arcaico Saturno italico, esso è indiscutibile. Tutte le invenzioni agricole risalgono a lui; quella dell’innesto, ad esempio, e quella del letame, il laetamen che allieta e rende feconda la terra. Il simbolo di Saturno è la falce che serve a ripulire il terreno dalle male erbe, a potare le piante ed a mietere il raccolto. Festo dice che Saturno presiedeva alla cultura dei campi, quo etiam falx est ei insigne, e Macrobio (Sat., VII) fa della falce l’emblema della messe. A questo suo carattere agricolo va però associato il suo carattere occulto, abbinamento che si presenta anche in altre divinità agricole e ctoniche italiche. Tra queste notiamo la Musa Tacita di Numa (Plutarco, Numa, 8), la dea Muta di Tatius (Ovidio, Fast., II, 583), la dea Angeronia del Velabro rappresentata con un dito sopra la bocca ed in atteggiamento silenzioso (ore obligato signatoque).
Anche l’associazione del carattere agricolo e marinaro di Saturno ricompare in altre divinità italiche. «Le dee-terra d’Italia – scrive André Piganiol (Essai sur les origines de Rome, Paris, 1917, p. 112) – sono assai frequentemente nello stesso tempo dee dei marinai. Fortuna tiene un timone e Venere, come Afrodite, protegge i porti».

9. – IL SIMBOLISMO AGRICOLO IN ROMA.

Virgilio, il poeta iniziato, chiama la terra magna parens frugum, Saturnia tellus (Georg., II, 173; Aen., VIII, 329) e chiama i campi i Saturnia arva (Aen., I, 569). Ar-vum quod aratum nec satum est (Varrone, R. R., I, 12), è il terreno lavorato, ar-ato. La radice ar, di cui è difficile determinare il senso più antico, significa semplicemente lavorare; aratro è lo strumento di questo lavoro, che ha per effetto di aprire le viscere del terreno ed esporre le zolle all’azione solare.
La profonda connessione tra l’agricoltura ed il culto risulta già dal fatto che l’ara arcaica (dal vecchio latino asa), l’altare nel suo senso primo di ara destinata ad accendervi sopra il fuoco sacro (ara turaria), era costituita da una semplice zolla di terra e si chiamò altaria, quando era alta da terra; Festo ci riferisce che «altaria ab altitudine dicta sunt», perché gli Antichi facevano i sacrifici agli dèi superi in edifici a terra excitatis, agli dèi terrestri in terra, agli dèi inferi in effosa terra (in una fossa).
L’ara era anche spesso una semplice ara graminacea (p. es. in Virgilio, Aen., XII, 118; Ovidio, Met., VII, 241; ecc.); ma originariamente era una zolla di terra; e, come dice il Vico (Principî di Scienza Nuova, II), «le terre arate furon le prime are del mondo». E siccome, secondo attesta Varrone (l. l., V), Saturno è il fuoco, tanto che con questa identificazione di Saturno e del fuoco si spiegava (Varrone, l. l., V; Macrobio, Sat., I, 7) l’uso di inviare durante i Saturnali delle candele di cera ai «saturnali superiori», l’ara risulta duplicemente legata a Saturno: perché fatta di una semplice zolla di terra, e perché destinata ad accendervi il fuoco sacro.
La voce ara non è la sola che dal primitivo significato agricolo assurge a termine del culto religioso. Le tracce dell’allegoria e del simbolismo agricolo compaiono ancor oggi nelle lingue neo-latine. Così la cultura dei campi, la cultura dell’animo ed il culto religioso si designano mediante parole strettamente affini, derivanti dal latino colere. G. B. Vico (Principî di Scienza Nuova, II) scrive: «Il primo colere che nacque nel mondo della gentilità fu il coltivare la terra; e il primo culto fu erger sì fatti altari, accendervi, tal primo fuoco, e farvi sopra sacrifici, come testé si è detto, degli uomini empi (le «Saturni hostiae)». Si chiamava culto tanto quello dei campi che quello degli Dei. Virgilio canta insieme gli arvorum cultus et sidera caeli (Georg., I, 1); ed invita gli agricoltori ad apprendere propeios cultus (Georg., II, 47); Orazio si confessa parcus deorum cultor. Incolto indica ancor oggi tanto il terreno non coltivato quanto l’uomo senza cultura. Poiché come è necessario coltivare la terra per ottenerne i frutti che da sé non darebbe, così è necessario coltivare l’uomo per ottenerne i frutti che da sé non maturano.
Questa assimilazione dell’uomo, e più particolarmente del corpo umano, al terreno, è assai antica e diffusa. Secondo il dizionario del Brail e Bailly non è impossibile che la stessa parola homo designi l’uomo come abitatore della terra. Da homo (hominis) si fa di solito derivare humanus. In tal caso humanus sarebbe indirettamente collegato alla terra, ma non sarebbe connesso con la voce foneticamente cosi vicina humus, voce che designa la terra umida (humor, umore) e perciò coltivabile, in contrasto con la terra secca, arida ed arsa (tersa = terra pel rotacismo).
Ciononpertanto la connessione tra humus e humanus ci sembra tutt’altro che da escludere; la sua verisimiglianza è comprovata dall’esistenza, che ha pure la sua importanza, di un analogo parallelismo in altre lingue e tradizioni, e dalla esistenza in linguaggi indo-europei di vocaboli etimologicamente connessi a queste parole latine, ed aventi significato affine. Il Dictionnaire étymologique de la langue grecque di E. Boisacq (1923, p. 104) collega il dativo omerico χαµαί (a terra) ad un ipotetico i. e. ghmmai, da cui il latino humi (dativo = a terra) e la voce ipotetica homo-s, humus, humilis, il v. lat. hemonem, l’osco humuns (uomini), l’umbro homones ecc.; ed a questa radice i. e. anche l’altra radice ghom, ghem che, con la perdita dell’aspirata, si ritrova nel tedesco gam in Bräutigam, inglese bridegroom (antic. bruidegom), indizi e residui disseminati nelle varie lingue indoeuropee di una arcaica assimilazione tra uomo e terra. Assimilazione, che ha il suo parallelismo nell’ebraico, dove adamah significa terra, in quanto elemento, materia, ed adam significa uomo, ed è il nome del primo uomo, formato da Dio, secondo la «Genesi», con il fango della terra.

Comunque, esplicita identificazione tra corpo e terra è categoricamente fatta da due antichi scrittori latini, Ennio e Varrone. Varrone dice (De l. l., V, 59): «Haec duo, Caelum et Terra, quod anima et corpus. Humidum et frigidum terra eaque corpus, caldo coeli et inde anima». Ossia: Il cielo e la terra sono lo stesso che l’anima e il corpo. Il corpo ha per elementi l’umido ed il freddo che sono la terra, e l’anima ha per essenza il calore o il cielo. E poco oltre: «humores frigidae sunt humi». Quindi Varrone (De l. l., V, 60) scrive: «Ha ragione Pacuvio che dice: Animam aether adjugat (l’etere accoppia l’anima)»; ed Ennio: «Terram corpus quae dederit, ipsam capere, neque dispendi facere hilum» (La terra stessa ossia il corpo prende ciò che [l'anima] le diede, né con ciò fa la menoma perdita). «La separazione – prosegue Varrone (De l. l., V, 60) – dell’anima dal corpo è per gli esseri viventi un’uscita dalla vita, exitus; come si chiama la morte exitum (cfr. ital. esiziale) e la nascita initia perché il corpo e l’anima in unum ineunt».

Secondo Ennio e Varrone, dunque, come la terra si apre grazie all’aratro per poter accogliere il seme gettato dal coltivatore e farlo fruttificare, cosi il corpo si apre per concepire l’anima, e la materia diviene in tal modo la mater dell’anima; ed il palese e non casuale richiamo ai Misteri (initia) fa capire che il paragone ha valore e va riferito non soltanto al caso della nascita umana, ma sibbene anche al caso della rinascita (la palin-genesi) iniziatica, la nascita alla «vita nuova ».
Varrone ed Ennio, dunque, adoperano in senso spirituale ed addirittura iniziatico il simbolismo dell’agricoltura. Si ponga d’altra parte questo passo di Varrone accanto a quello su riportato di Macrobio circa il carattere e il significato esoterico dei Saturnali, e si veda un po’ se i due passi non si completino e non si chiariscano a vicenda, e se insieme non ci diano la conferma della esistenza, e della persistenza nei tempi classici, di una tradizione iniziatica romana collegata e derivante dalla tradizione primordiale dell’età dell’oro. Si veda un po’ se non è legittimo, anche limitandosi ad una semplice indagine culturale, vedere nella cultura dei campi cui presiedeva Saturno, il simbolo della cultura nel campo spirituale, e nella peritia ruris, nell’arte della coltivazione, insegnata ai latini da Saturno, la dottrina e l’arte della coltivazione dell’uomo, la dottrina tradizionale, primordiale, che Saturno, il dio vero, il satya-deva, arreca dall’Olimpo etereo, ed occulta nel Lazio nell’età aurea.

Naturalmente non pretendiamo con quanto abbiamo rinvenuto, illuminato ed inquadrato, persuadere tutti i nostri lettori. Anzi, agli scettici per sistema dichiariamo onestamente che non possediamo la documentazione cinematografica dello sbarco del re Saturno sulle rive del Lazio; ed agli irrisori dei nostri miti pagani, perché credenti nelle buone novelle esotiche, non diciamo nulla, sol perché non ci è lecito dire loro quanto si meriterebbero. A coloro, per altro, che in parte almeno aderiranno a quanto abbiamo scritto, dobbiamo fare rilevare che la presente è la prima esposizione di questa visione dell’esoterismo romano; e dobbiamo invitarli a non alterarla nel prendercela e nel riesporla, nonché a volersi ricordare, senza reticenze ed infingimenti, di citare la fonte. Questo diciamo non per misera umana ambizione, né in nome della correttezza e della morale, ma sibbene a scanso di equivoci. Coerentemente è d’altra parte nostro dovere riconoscere e dichiarare che, se ci è consentito pandere res alta terra et caligine mersas, non è unicamente opera e merito nostro, ma è anche dovuto a qualche importante indicazione tempestivamente e «gerarchicamente» trasmessaci.


Arturo Reghini “sulla Tradizione Occidentale”, pubblicato dalla rivista “UR” nel 1928