martedì 2 aprile 2013

La rivelazione di Ascanio nel VI libro dell'Eneide (frammento)



E’ evidente che non occorre un appariscente supporto rituale per cercare di adeguare la condotta esistenziale ispirandosi alle norme del buon senso stoico-neoplatonico, bensì, invece, è necessario trasfondere nel proprio agire il significato di una condotta modesta e dignitosa, confidante della comunanza ideale con determinate forze luminose operanti nel Cosmo e variamente definite presso ogni civiltà tradizionale con i più diversi nomi, qui da noi, Muse divine, oppure le Intelligibili emanazioni del Nous divino.

L’esistenza è un’opera di fortificazione interiore, è quotidiana preparazione alla morte. Possiamo sottrarci a questo primo significato inseguendo molteplici distrazioni ma non per questo miglioreremo la nostra condizione spirituale.

La divinità, rammenta Seneca, non cerca servitori ma anime leali al bene cerca, assonanze sincere all’ispirazione promanante dal nucleo sorgivo della vita.

“Fin dall’origine un intimo spirito compenetra il cielo, la terra e il mare, e il globo luminoso della luna e il sole, e un’anima infusa per gli arti sollecita la materia unendosi al grande corpo”
(Eneide libro VI)

La poesia è specchio di ciò che all’intuizione dell’anima è anteriore e superiore.

L’anima, è metaforicamente luna, colpita dal raggio di sole, che è lo spirito, risplende di luce solare e avviene così che le tenebre della comune esistenza sono interrotte da lampeggiamenti improvvisi, quasi di folgore che una volta tornata l’oscurità rimarrà in segno d’impronta visiva, quale fosforescente traccia profetica e poetica amplificante il principio igneo dell’esistenza congiunta alle forme del divenire.